Storie di diritti negati in una metropoli del Mezzogiorno.
Come ‘Ccà Nisciun’ è fessa, rete territoriale che si occupa di salute sessuale e riproduttiva e diritto all’aborto, siamo state contattate da alcune donne che in queste settimane stavano, e stanno tuttora, riscontrando maggiori difficoltà di accesso all’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG).
L’accesso all’aborto, che sappiamo bene essere un vero e proprio percorso ad ostacoli in Italia e con ulteriori disagi nel meridione, nel mese di agosto deve fare i conti con le ferie del personale medico non obiettore. Così può succedere di trascorrere un’intera mattinata ad ascoltare il “tu-tu-tu” del telefono senza che nessuno risponda dall’altra parte della cornetta per poi sentirsi dire, dopo ore di attesa: “mi dispiace siamo chiusi, riapriamo il 22 agosto”, con la stessa disinvoltura con cui risponderebbe un negozio di scarpe. Accade, di fatto, che il numero di persone in servizio non sia sufficiente a sostituire il personale in ferie e che non ci si pensi due volte ad esporre un bel cartello con la scritta “CHIUSI”. Si sceglie sostanzialmente di interdire l’accesso ad una prestazione sanitaria che nel nostro paese è garantita dalla legge n. 194 del 1978.
L’interruzione volontaria di gravidanza è una prestazione sanitaria che deve essere garantita dal Servizio Sanitario Nazionale. Dinnanzi a questo fatto è difficile non restare basite, incredule, spaventate e certamente arrabbiate nell’apprendere che nelle settimane centrali del mese di agosto i centri IVG sul territorio cittadino napoletano chiudano i battenti (non che quando siano aperti funzionino a dovere). Viene da chiedersi se, nel 2023, in una città che conta un milione di abitanti, sia possibile avere un unico e SOLO centro IVG aperto per due o tre settimane del mese di agosto. Le prestazioni sanitarie non vanno in ferie e non possono andare in ferie, a maggior ragione, quelle vincolate a dei tempi ben specifici: la legge 194, infatti, individua i primi novanta giorni quale termine entro cui poter interrompere volontariamente una gravidanza.
Ora facciamo un piccolo passo indietro ed ipotizziamo di essere in un qualsiasi altro mese dell’anno. Per accedere ad una IVG occorre seguire un iter composto da più passaggi affinché il tutto vada a buon fine (ottenere il certificato che attesta la volontà della persona di interrompere la gravidanza, aspettare che trascorra la settimana di riflessione sulla PROPRIA scelta, ed infine chiamare i diversi ospedali per fissare un appuntamento per la prima visita). Nella realtà, per ognuno di questi passaggi possono sopraggiungere uno o più ostacoli, dal medico obiettore, al consultorio chiuso o sprovvisto di ecografo, fino all’ospedale non risponde al telefono o con una lista di attesa di diverse settimane. I diversi passaggi da fare, già di per sé non semplicissimi, sono aggravati dalla carenza di strutture sanitarie territoriali, poche e spesso mal funzionanti (*Spoiler* a Napoli sono aperti 13 consultori per un milione di abitanti, la legge ne prevede uno ogni 20.000, a voi il calcolo dell’inefficienza della sanità pubblica sul nostro territorio), oltre che dalla presenza di medici obiettori, che in alcune strutture arrivano a rappresentare il 100% dei medici in servizio.
Bene, adesso, avendo le idee un pochino più chiare su come vanno solitamente le cose, ritorniamo al nostro mese di agosto: può accadere – ed è accaduto appena qualche giorno fa – che raggiunto l’ultimo step ci si senta rispondere “siamo chiusi, ci vediamo a fine mese” (non prima di aver passato 3 ore a sentir il telefono squillare a vuoto. *Spoiler* anche questo tratto da una storia vera).
Se, come dicevamo pocanzi, la legge vincola l’aborto a dei tempi ben precisi, non è pensabile che si rischi di sforare quei tempi per colpa di un sistema sanitario inefficiente, inesistente e spesso e volentieri in preda di personale dichiaratamente antiabortista. Garantire un accesso dignitoso all’aborto significa non sottoporre le persone ad un’attesa violenta e sfiancante, significa non ricevere informazioni errate o parziali in merito al percorso che si sta per affrontare, significa non doversi interfacciare con personale medico incapace di accogliere l’utenza, che tenta in ogni modo di instillare dubbi e sensi di colpa in merito alla scelta presa (che, se ci fosse bisogno di ribadirlo, è solo ed esclusivamente della persona gestante), significa non permettere che negli ospedali vi siano associazioni antiabortiste pronte a convincerti che abortire è sbagliato, che “te ne pentirai, saresti una bellissima madre”. Per garantire un accesso dignitoso all’aborto abbiamo bisogno di tempi e procedue snelle, di ascolto e accoglienza non giudicante, di più ospedali e consultori efficienti ed aperti, tutto l’anno, senza eccezioni!
L’AUTODETERMINAZIONE E IL DIRITTO ALLA SALUTE NON VANNO IN VACANZA!